Passione rewatch: perché riguardiamo (sempre, continuamente) gli stessi film e serie?

Friends l’avrò visto 6 volte; tutta la serie, dall’inizio alla fine. Buffy, Grace and Frankie, Felicity: almeno 3. Poi ci sono le commedie romantiche che una volta al mese, ciclicamente (if you know what I mean) riguardo a rotazione: qualsiasi cosa con Meg Ryan, Reese Witherspoon, Sandra Bullock, Julia Roberts e Brad Pitt (Vento di Passioni lo so a memoria ormai). Poi ci sono i classiconi che ogni tanto BISOGNA rivedere: la trilogia del Padrino, Jurassic Park, qualsiasi cosa abbia girato Spike Lee, Coming to America (Il Principe Cercamoglie) o Trading Places (Una Poltrona Per Due) sotto Natale, The Big Lebowski, Kill Bill, Back to The Future.

Ci pensavo qualche giorno fa, dopo aver completato il rewatch delle prime due stagioni di Pose (serie perfetta che consiglio con entusiasmo, è su Netflix) – e mi sono chiesta, perché riguardiamo (sempre, continuamente) gli stessi film e serie? Posso immaginarlo, certo, ma come ci insegna il buon Socrate “Έτσι, δεν γνωρίζω”, SO DI NON SAPERE (sì, ho fatto studi classici e ne vado fiera).

Armata di curiosità e umiltà, mi sono messa alla ricerca di fonti autorevoli che potessero aiutarmi ad approfondire questo tema. E, ispirata, ho preso appunti, per riportarli come una via di mezzo tra la fenomenologia, la poetica con un pizzico di apologia (l’ho detto che ho fatto studi classici, vero?)

È molto semplice: riguardo qualcosa perché mi piace!

Perché dovrei investire del preziosissimo tempo (si vive una volta sola, dopotutto) nel riguardare qualcosa che ho già visto, magari più di una volta? Per il semplice fatto che QUELLA COSA MI PIACE. Mi piace talmente tanto che ogni volta che lo riguardo mi concentro per vedere se trovo qualche dettaglio che non avevo mai notato prima. Ogni rewatch mi permette di distrarmi dal plot principale e di spostare l’attenzione sui pezzi più piccoli del puzzle, sugli easter egg, sulla recitazione, sulla fotografia.

Il rewatch è anche un atto di nostalgia.

Clay Routledge, uno psicologo che studia nostalgia (davvero, studia la nostalgia) alla North Dakota State University, afferma che ne esistano due “ceppi”: uno storico (nostalgia per il passato, in generale) e uno autobiografico (nostalgia per il passato di un individuo, in particolare). A volte guardiamo un vecchio film per ricordare come le cose erano una volta.

Ci piace ripetere le esperienze della cultura pop perché ci aiutano a ricordare il passato e l’atto di ricordare il passato ci fa sentire bene. I ricercatori lo chiamano “ri-consumo regressivo”, l’utilizzo dell’intrattenimento come una macchina del tempo per rivisitare un ricordo perduto.

In uno dei suoi studi, Routledge ha esposto alcuni dei soggetti a canzoni della loro giovinezza; questi avevano maggiori probabilità di riferire di sentirsi “amati” e che la vita fosse “degna di essere vissuta” rispetto agli altri soggetti.

Metto episodi a caso mentre faccio altro per tenermi compagnia.

Non possiamo considerarlo un rewatch vero e proprio; è più quel sottofondo familiare che ci fa sentire meno soli mentre facciamo le pulizie o assembliamo un mobile dell’Ikea. È l’equivalente dell’accendere la TV o la radio, dell’ascolto distratto di un podcast o della nostra playlist preferita. È quel mormorio che ci dà l’illusione di non essere, in effetti, soli in quel momento.

Riguardo ergo sum.

Dulcis in fundo, il rewatch come ragione esistenziale. In uno dei loro studi sul tema, Cristel Antonia Russell e Sidney Levy hanno evidenziato come “i collegamenti dinamici tra le proprie esperienze passate, presenti e future attraverso il ri-consumo di un oggetto consentono la comprensione esistenziale. Ri-creare un coinvolgimento con lo stesso oggetto, anche solo una volta, consente una rielaborazione delle esperienze, in quanto i consumatori considerano il loro particolare divertimento e la comprensione delle scelte che hanno fatto “. Un vecchio ricordo, sì, ma ricoperto da una nuova prospettiva.

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