Quando fui alle prese col mio film di tesi a scuola di cinema, decisi di girare un corto ambientato nella Germania Est di metà anni ottanta. Avevo scritto il soggetto per un lungometraggio due anni prima e decisi di adattarlo. Un period piece girato in due location con 5 attori, in 4 giorni, con una crew composta da una decina di persone, quasi tutti colleghi di corso. La macchina da presa era una Red One, una piccola meraviglia che richiede però una buona dose di post-produzione. Il direttore della fotografia e il suo gaffer erano due professionisti, ed erano pazzeschi. E alla fine quel film mi costò, post-produzione compresa, poco più di 6 mila dollari. Lo potete vedere qui sotto:
Un film di tesi è un investimento a fondo perduto. Non ci si guadagna nulla, se non al massimo qualche contentino in danaro dalla vittoria di qualche festival. Io di festival ne vinsi due col mio, ma di pecunia ne ho vista poca. Sono rientrata coi costi del catering. Forse. Per questo i budget di questi progetti normalmente sono molto, molto piccoli, e si tende ad ambientare al tempo presente, puntando tutto sulla recitazione degli attori e sulla storia. Vuoi investire qualche soldino? Prendi un bravo direttore della fotografia. Tanto, per i film di tesi, gli attori recitano gratis (useranno il girato per showreel e pagine IMDb) e la crew è perlopiù composta da compagni di corso – tipo qui:

Il low budget, però è diventato un concetto mainstream. Tanto che ormai le produzioni indipendenti sono di gran lunga numericamente superiori a quelle dei grandi studi. Anzi, molto spesso sono proprio i grandi studi ad acquistare i diritti di distribuzione di molte pellicole indie, di norma quelle che riscuotono un discreto successo ai festival più importanti.
Uno di questi è il film di cui voglio parlarvi, presentato a Tribeca lo scorso anno e valso al regista il premio come Best New Director. Il film s’intitola Men Go To Battle e narra la storia di due fratelli nel Kentucky rurale del 1861 in piena guerra civile. Un period-drama realizzato con una crew minima e un budget microscopico.

Ricreare un periodo in maniera inventiva non è facile. Il regista Zachary Treitz ci ha provato con un approccio estremamente moderno alla storia e all’arte del fare cinema, eliminando tutto il superfluo per realizzare un film diretto, in grado di relazionarsi col pubblico come un qualsiasi altro prodotto del 2016.
Il direttore della fotografia Brett Jutkiewicz, in un’intervista, racconta di quando il regista, ex compagno di studi, lo portò a bordo:
Men Go To Battle sarebbe stato qualcosa di mai fatto prima per noi, dato che dovevamo creare un film in costume convincente con un budget che avrebbe potuto coprire le spese di una sola ora di shooting del film Lincoln. Per riuscirci ci sarebbero voluti un’intraprendenza incredibile e una visione singolare.
Così decidemmo di realizzare un anti-period piece. Sarebbe stato crudo, naturalistico e cupo. L’avremmo spogliato di qualsiasi pretesa soffocante dei film storici e trattato i personaggi come persone reali, non effigi per più ampi contesti culturali. Il desiderio di renderlo immediato e intimo – uno sguardo nella vita di due persone al di fuori dei confini dei libri di storia – ci ha fatto capire come lo avremmo girato.

La prima, importante scelta da compiere è stata quella del formato con cui avrebbero girato. Non a caso regista e DP discussero a lungo sulle reference visive per il film, tutte girate in pellicola: Barry Lyndon per l’illuminazione, Cime Tempestose per i movimenti di macchina e Breaking the Waves per lo stile viscerale e le riprese hand-held.

Ma girare in pellicola, anche 16mm, costa molto di più che girare in digitale. Soprattutto se si opta per un’illuminazione naturale. Viste dunque le costrizioni di budget, Jutkiewicz e Treitz optarono per un’Alexa (scuderia Arri), che è tra tutte le digitali quella che riesce a riprodurre la tattilità della pellicola al meglio.

Abbinati alla macchina, Jutkiewicz sceglie un set di obiettivi Cooke “vintage” per conferire la giusta morbidezza alle immagini pur mantenendo il contrasto giusto per creare lo stile più crudo e organico che desiderava.
Sapevo che avrei dovuto lavorare in maniera molto fluida per catturare la spontaneità delle performance degli attori, e permettere loro di vivere e respirare liberamente all’interno delle scene.
Chicchissima: Tim Morton e David Maloney, gli attori protagonisti che interpretano i due fratelli, sono amici di lunga data, un rapporto che il regista e la co-sceneggiatrice volevano fortemente riportare sullo schermo, con un approccio quasi documentaristico.
È così che un cast fa davvero la differenza. Ed è così che anche un regista può fare la differenza. Lavorare con gli attori, e sugli attori, è meraviglioso. In condizioni tali lo deve essere ancora di più.

Per essere invasivo al minimo, Jutkiewicz decise di ridurre all’osso crew ed equipaggiamento. Siamo pur sempre nel 1861!
Per me era soprattutto importante essere sempre presente con la macchina da presa insieme ai personaggi, specialmente con Henry, così che il pubblico potesse vivere quel mondo attraverso i suoi occhi anzi che da una certa distanza.
Per cui ho preferito usare degli obiettivi 25mm, 32mm e 40mm e stare più vicino agli attori con la camera al posto di utilizzare teleobiettivi da lontano.
C’è un’immediatezza nelle immagini quando la macchina da presa è vicina agli attori. La si percepisce.
Lavorare con un micro-budget significa soprattutto trovare soluzioni a una serie infinita di ostacoli. Come la scena di soccorso a cavallo.Il direttore della fotografia voleva girarla ad altezza occhi, per cui cosa poteva fare se non montare in groppa a un cavallo per la seconda volta nella sua vita?
Ma fare un film è un lavoro di team, è uno sforzo incredibile che coinvolge ogni singola persona in una crew, dall’attore protagonista all’ultimo degli elettricisti. Fare un film con un micro-budget è ancora più challenging ma ancora più soddisfacente. Ovvio, se la riuscita è così…
E finalmente, ecco il trailer del film. Chissà se arriverà mai in Italia.