In questi giorni starete leggendo trilioni di recensioni su Steve Jobs, il nuovo film di Danny Boyle. Qui non si scrivono recensioni, lo sapete. E infatti questa non lo è. Vi parlo, invece, di ciò che Boyle e il suo direttore della fotografia Alwin Küchler hanno deciso di mettere in pratica per le riprese del film. E cioè di utilizzare un formato differente per ciascuno dei tre periodi raccontati nella storia. Una strategia stilistica di tutto rispetto. Non la scoperta dell’acqua calda, è ovvio: ma dato che sono fresca di visione – l’ho visto al cinema qualche giorno fa – sono molto felice di approfondire l’argomento per voi. E sì, anche se non si tratta di un film indie. Le regole sono fatte per essere infrante, o no?
In Steve Jobs si racconta il rapido avanzamento della tecnologia attraverso tre momenti molto importanti della vita di uno dei suoi più grandi e importanti protagonisti ever. Tre momenti – che coprono un arco temporale di 14 anni – estremamente differenti tra loro per le vicende che li hanno caratterizzati, così come lo sono i formati con cui vengono rappresentati sullo schermo. Un’evoluzione stilistica finalizzata a mostrare la trasformazione cronologica di Jobs dal giovane ribelle informatico che era agli inizi della sua carriera fino all’uomo cha ha plasmato il mondo Apple che conosciamo oggi.
Arriviamo senza ulteriori indugi a parlare del primo atto, che si svolge poco prima della presentazione del Macintosh nel 1984. Il primo atto non è altro che la prima grande scena/sequenza del film (i tre atti sono praticamente 3 grandi scene in cui il tempo della narrazione equivale allo screen time) ed è stato girato in pellicola 16mm. Una scelta che, grazie all’abbondanza di grana dovuta alle dimensioni ridotte della pellicola, ha potuto donare a questa porzione del film un look & feel quasi home-made, e senza dubbio vintage: il più lontano possibile, insomma – così come è lontano il momento storico raccontato – dall’immaginario cinematografico a cui il pubblico contemporaneo è abituato.
La pellicola 16mm, storicamente, è sempre stata scelta per produzioni a budget ridotto, proprio per i costi di produzione e sviluppo molto bassi. A scuola di cinema, ad esempio, usavamo sempre e solo 16mm per le nostre prime esercitazioni. “Ma qui si parla di un film con un budget di 30 milioni di dollari, accipicchia” penserete giustamente voi. Il fatto è che la scelta del 16mm è servita a Boyle e Küchler per rappresentare visivamente quei primi anni di attività della Apple. Un’azienda appena uscita dal garage dove nacque, ancora un po’ grezza – o come direbbero gli anglofoni “raw”. Esattamente come l’effetto del 16mm sullo schermo.
Il secondo atto del film si svolge prima della presentazione del NeXT Computer nel 1988. Boyle e Küchler riprendono tutto in 35mm, il formato convenzionalmente scelto per le riprese dei film più importanti e utilizzato per proiettare le pellicole in quasi tutte le sale del mondo, almeno fino a pochissimo tempo fa. In questa porzione del film Jobs viene espulso dalla Apple e trova in NeXT l’opportunità di riconcentrare i suoi sforzi in un prodotto che lui stesso sa sarà probabilmente fallimentare.
Ma Jobs – lo sappiamo – ha già in testa la visione d’insieme, sa già come andrà a finire. Jobs non vede in questa vicenda un fallimento, ma grande opportunità verso ciò che poi è davvero stato un successo, nonché il suo personale riscatto.
L’utilizzo della pellicola 35mm amplifica moltissimo il senso d’illusione, quasi come in un sogno, nell’esperienza di visione cinematografica per lo spettatore. E questo accade proprio perché il 35mm è stato il supporto di fruizione conosciuto da sempre all’occhio pubblico.
Il terzo atto, o la terza grande scena-sequenza, è ambientata dietro le quinte del grande debutto del primo iMac, col trionfale ritorno di Jobs alla Apple. Boyle e Küchler scelgono di riprendere questa ultima parte della storia con una Arri Alexa, in digitale. O, per citare Boyle, “in brutal HD”.
Ora, fermatevi un secondo e pensateci bene: la Apple è famosa in tutto il mondo per i continui upgrade, gli infiniti aggiornamenti, la rincorsa alla tecnologia più nuova e innovativa. Spesso a discapito degli utenti più “lenti”. Per l’iMac – e questo lo vediamo nel film – la Apple si sbarazzò del floppy. Così, dall’oggi al domani, senza dare troppe spiegazioni.
Considerare il ritorno di Jobs alla guida di Apple una profezia di quello che è il mondo della tecnologia come lo conosciamo oggi, va naturalmente di pari passo con l’inevitabile abbandono della pellicola a favore del digitale nel mondo del cinema. E quindi, in questo film, l’utilizzo della Alexa e non più della pellicola. Nulla sarà più lo stesso. Resta solo da capire se sarà un bene o un male, per il nostro business. Ai posteri l’ardua sentenza.
In tutte le interviste sul suo stile e la sua tecnica, Danny Boyle parla sempre di manipolazione. Il cinema è un campo così tecnico e multiforme che ogni film è una nuova scoperta per un regista. Ovvio, la sceneggiatura e gli attori sono lì per mettere la parola in scena. Ma il modo in cui la storia viene raccontata – secondo Boyle – si scopre quasi in corso d’opera.